03 ottobre 2008

Un articolo di Nino Novacco apparso ieri su Il Mattino

Nord Sud, l’equilibrio che serve

un articolo di Nino Novacco, presidente della Svimez, apparso su Il Mattino di giovedi 2 ottobre 2008.

Il federalismo, in assenza di processi di coesione tra le macroregioni italiane, non riuscirà a essere effettivamente equo, e potrà addirittura finire con il mettere a rischio l’unità stessa dello Stato-Nazione, se e fino a quando gli squilibri interregionali che in Italia hanno determinano il dualismo e che penalizzano il Mezzogiorno nelle scelte ubicazionali delle imprese più dinamiche e concorrenziali, saranno rilevanti quanto lo sono oggi. Il federalismo fiscale gioverà poco al futuro del Paese se, attraverso di esso, ci si limiterà solo ad assicurare maggiori poteri decisionali agli enti territoriali, non avendosi alcuna garanzia che i pubblici amministratori verranno maggiormente responsabilizzati, come si dice, rispetto a loro errori e sprechi, essendo oggi l’Italia una democrazia caratterizzata dal potere di designazione dei vertici dei partiti, più che da un rigoroso giudizio ex-post degli elettori sulle scelte e sulle concrete condotte di quegli amministratori locali. In tale situazione il federalismo - ivi compreso quello fiscale - servirà assai poco al progresso del Paese se il governo non avvierà contestualmente una strutturale e incisiva politica economica nazionale di sviluppo e di coesione, finalizzata alla unificazione anche economica tra Mezzogiorno e Centro-Nord.
E, inoltre, a creare nelle aree deboli condizioni ambientali e infrastrutturali di «geografia volontaria» comparabili a quelle presenti nelle aree avanzate. La nostra Repubblica, che si definisce «fondata sul lavoro», non sarà mai né unitaria né unita - né sarà mai madre giusta di tutti gli italiani - se ancora nei prossimi decenni il lavoro produttivo e il benessere che generalmente ne consegue continueranno a essere appannaggio solo di alcuni territori, più prossimi al cuore storico e avanzato dell’Europa. La determinata battaglia che il meridionalismo nazionale ed europeista della Svimez ha condotto in questi anni nel condizionare i contenuti di un federalismo fiscale tecnicamente equo, che non stravolga comunque i diritti di una parte non marginale dei cittadini e dei territori italiani, sarà tutto sommato una battaglia perduta se non riuscirà a far sì che venga contestualmente avviata e resa operativa una organica e strutturata politica di coesione e unificazione nazionale. Gravi e grandi si sono dimostrate fino a oggi le responsabilità politiche dei governatori delle otto pur divaricate Regioni meridionali, rispetto all’insieme del tendenzialmente coeso Centro-Nord. A parte oggettivi sprechi delle singole gestioni, e gravi loro limiti anche nella valorizzazione delle risorse assegnate dall’Ue, le Regioni meridionali non sono apparse capaci di trovare una loro unità né formale né sostanziale, né di concordare ex ante posizioni comuni rispetto al federalismo e al federalismo fiscale, ma soprattutto nel sostenere - partendo dal basso delle loro comuni arretratezze e degli analoghi loro ritardi nello sviluppo - una organica proposta unitaria di politica economica nazionale, che - partendo dalle infrastrutture, essenziali anche per determinare le convenienze ubicazionali e gestionali delle imprese - ponesse rimedio ai vincoli della geografia e alle colpe della storia e dei governi, che sono all’origine della progressiva disunità dello Stato e della società italiana, che da anni registrano un lento declino relativo. La difesa che il presidente della Repubblica correttamente e rigorosamente esercita sui concetti di intangibile unità e indivisibilità dello Stato-Nazione, è un fattore di garanzia. Tuttavia, chi guarda al futuro dell’Italia nell’ottica delle macro-regioni che la compongono, e ascolta quel che dicono gli esponenti politici del Centro-Nord quando attualizzano ed esaltano i contenuti delle multiple specificazioni (storiche, etniche, linguistiche) battezzate come federalismo, non può fare a meno di essere indotto a intravedere con preoccupazione il fantasma della dissolta Jugoslavia, e le situazioni - certo non sistematiche, ma non per questo meno preoccupanti - che da tempo si leggono in Europa, dal Nord della Spagna, all’Irlanda, a taluna provincia atesino-tirolese in Italia, e fin all’area della capitale del piccolo Belgio. Che l’Italia si salvi da ogni analogo rischio. Nino Novacco * presidente della Svimez

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