Sapete tutti cosa è successo tre giorni fa a Secondigliano e cosa sta ancora succedendo a Napoli. Con “Il Sistema” che fa sempre più uso di manovalanza minorile, a basso costo, malleabile. A tal proposito vorrei proporvi un articolo di Conchita Sannino apparso oggi su Repubblica online.
“Io mi ricordo solo le botte, gli spari. E tutti i compagni miei che si buttavano a terra”. “E pure io, che sono più grande e grosso di loro, e ci potevo restare in mezzo a quella tarantella, cioè la sparatoria. Io mi sono infilato sotto alle sedie del circolo per non morire per sbaglio. Che poi, è successo tante volte nel mio quartiere, nelle nostre zone”.
Venti ore dopo l’agguato di Secondigliano, Vittorio è ricoverato in Ortopedia, secondo piano di un ospedale cittadino. Ha sedici anni e - non fosse per il viso tondo, gli occhi smarriti e l’ingenuità violata - ne dimostrerebbe quattro di più. “Per fortuna mi sono fratturato solo il piede. Ma chi lo sa chi erano, che volevano, i killer. Io mica me la faccio con loro, io montavo i lampadari, lavoravo. Ora no, ora sto senza nessun lavoro”. È il sorriso forzato, l’ottimismo mesto dei bambini troppo grandi, di tutte le Gomorra del sud.
Vittorio ha pianto tutta la notte, ma sono le 20 quando si prepara ad ascoltare in cuffia, dal suo letto numero 6, la partita Milan-Napoli. E si scioglie in una risata: “Se morivo, mi perdevo questa grande partita”. Più o meno alla stessa ora, guardando al telegiornale le immagini di quella sparatoria contro i ragazzini della zona grigia di Napoli, il magistrato Stefania Castaldi, pubblico ministero del pool antimafia che ha fatto condannare le batterie di killer della faida di Scampia, scuote la testa e analizza. “L’eredità che ci ha lasciato lo spietato conflitto alla periferia nord di Napoli è un dato ormai riscontrato - riflette - . C’è un ricorso ormai sempre più frequente dei clan ai ragazzini per missioni pericolose. Utilizzano “risorse umane” sempre più giovani, sempre più condizionabili, fragili, neutre”.
Li utilizzano, li manipolano, li coprono di abiti firmati e di stipendi che partono anche dai 900 euro al mese per un semplice ruolo di vedetta part-time. E poi li trasformano. Spesso, sottolinea la pm Castaldi, “sotto due uniche categorie: assassini. O cadaveri”.
Ci sono casi giudiziari importanti a dimostrarlo. E ci sono vicende inquietanti che continuano a raccontarlo ogni giorno. Figure di padrini baby, ben salde e attive in queste stesse ore nel cuore dell’Antistato: come la leadership di cui gode Raffaele Amato, nipote dell’omonimo boss latitante, non a caso soprannominato Lello junior. Il pool antimafia lo arresta a Melito lo scorso 30 agosto. Amato junior ha solo 18 anni, mentre sfugge a un posto di blocco dei carabinieri, durante un inseguimento che dura quaranta minuti. Organizza via cellulare una rivolta dell’intero quartiere nella cosiddetta “219″ di Melito. I militari lo fermano malgrado l’aggressione e gli sputi della popolazione al soldo degli Amato. Lui viene ammanettato e dice a un carabiniere: “Tanto io esco e ti taglio la testa”.
Ma il gip, due giorni dopo, non emette ordinanza di custodia cautelare per mancanza di prove “certe” dell’appartenenza ai clan. Eppure un pentito della famiglia Prestieri racconta che Lello junior è già considerato capo del clan, ad appena 18 anni. Amato torna nel suo covo, lui è ancora libero: benché un verdetto del Riesame abbia dato ragione a quel fermo della Procura antimafia. Il pm Castaldi mastica amaro: “Ma ce ne sono altri di boss che hanno cominciato da minori.
Anche l’uomo riconosciuto come l’assassino del pregiudicato Nunzio Cangiano aveva tra i 17 e i 18 anni quando dimostrò la sua fedeltà ai Di Lauro, partecipando ad azioni di sangue”. Un’altra vicenda agghiacciante sui “figli di Gomorra” testimonia le maglie larghe della giustizia; quella della libertà resa sorprendentemente ad Arcangelo Abbinante, figlio e nipote di camorristi di spicco. Arcangelo aveva 17 anni quando, secondo le ricostruzioni del pm Castaldi, poi affidate alla giustizia minorile, uccise il coetaneo e rivale Genny Genny, ovvero Gennaro Vitrone.
Furono gli stessi familiari della vittima, un fratello rapinatore e sua madre, a ricostruirlo, mentre veniva intercettati: il colpevole, dissero, se n’è pentito, si è fatto tatuare pure “perdono” sul braccio. Racconta il magistrato Castaldi: “Noi lo fermammo su questi ed altri elementi. Quel ragazzo di 17 anni, Arcangelo Abbinante, aveva un “perdono” tatuato sul braccio”. Ma il Tribunale del Riesame per i minori non condivide questa ricostruzione. Arcangelo è libero, ora ha 18 anni e l’eredità dei legami e degli affari di una vasta parentela di sodalizio mafioso.
“Ci sono storie drammatiche, ma anche incoraggianti di ragazzini piccoli e “adulti” - sottolinea la Castaldi - Per esempio, nell’omicidio di Carmela Attrice, il 34esimo della faida di Scampia, c’era un ragazzino di sedici anni che ebbe il compito, dal clan, di premere il pulsante al citofono di quella casa. Era lui l’esca, l’uomo il postino che consegnava la donna nelle mani dei suoi assassini, con venti colpi esplosi sulla faccia, sul petto, sul camice di casa impregnato di sangue. Ma in quella stessa vicenda aveva 16 anni anche il piccolo testimone di giustizia che ci aiutò, riconobbe i killer, testimoniò contro di loro e li fece condannare. Oggi ha cambiato vita”
Una vita diversa. Da quella dei bambini feriti a colpi di pistola davanti a un circolo. Ma quelli che sfuggono sono l’eccezione. La regola parla di droga e camorra.