16 marzo 2009

Federalismo fiscale quante insidie per il Sud

Questo articolo è apparso oggi su La Repubblica Napoli. Vi prego di leggerlo con attenzione. Ciò che scrive Massimo Villone non è solo condivisibile ma seriamente preoccupante.

È un libro importante quello di Gianfranco Viesti, “Mezzogiorno a tradimento. Il Nord, il Sud e la politica che non c´è”, che si presenta oggi alle 16.30 alla Camera di Commercio (via Sant´Aspreno, 2), in un seminario organizzato dalla Fondazione Mezzogiorno Europa.

Anzitutto perché demolisce i luoghi comuni, primo fra tutti quello di un Sud che divora risorse pubbliche più del Nord. Le cifre dicono il contrario. L´autore ricorda che fino a quando risorse aggiuntive per il Mezzogiorno vengono dalla crescita del debito pubblico, il Nord ha il ritorno pieno in servizi di quel che paga in tasse, e in più prende gli interessi sul debito, i cui titoli prevalentemente sono collocati al Nord. Quindi, tutti contenti. Ma con la stretta sulla finanza pubblica l´autostrada del debito pubblico si chiude. Le risorse per il Sud non possono che venire dalle tasse. Il Nord paga più tasse, e non riceve l´equivalente in servizi perché una quota va al Mezzogiorno. Comincia la rivolta. Le risorse devono rimanere al Nord. Qui nasce l´attacco leghista, e non solo. La politica meridionalista si frantuma a destra, a sinistra e al centro. Il 17 gennaio Scalfari, su questo giornale, ammonisce il Pd a non dimenticare la propria vocazione nazionale rincorrendo la Lega.
Non dubito che una decisa volontà politica potrebbe piegare gli egoismi territoriali. Ma sarebbero necessari partiti nazionali forti, radicati nell´intero paese, capaci di generare in tutti i territori il consenso necessario. Invece, la politica si è territorializzata. Molti partiti sopravvivono a macchia di leopardo. Nei maggiori partiti, nel nucleo dirigente di vertice è dominante la presenza del Nord. Nulla a che vedere con la Dc, il Pci, o anche il Psi di un tempo, che ebbero in prima linea dirigenti meridionali. E comunque partiti del leader, di sindaci, assessori e governatori non possono per definizione avere un Dna genuinamente nazionale. Sono anzi geneticamente predisposti alla dominanza politica dei territori più forti.
Così il federalismo fiscale diventa per qualcuno la formula magica che risolve i problemi. Si poteva ben sapere che una tempesta era in arrivo. È almeno dal 2002 che ne scrivo su queste pagine. Ma una politica arrogante e senza qualità non vede al di là del proprio naso. Oggi, la sfida del federalismo fiscale va accettata, come argomentava Andrea Geremicca alcuni giorni fa su questa pagine. Il mero rivendicazionismo è già ora inutile e politicamente impraticabile. E tale rimarrà, perché il rigore finanziario è una scelta permanente. Non si torna alla questione meridionale nei termini di un tempo.
Ma non si può nemmeno guardare al federalismo fiscale come una competizione in cui quel che conta è partecipare. Il problema del Mezzogiorno è appunto un federalismo fiscale cui non si legano politiche di riequilibrio territoriale. In questi termini è realistico prevedere maggiori risorse al Nord, ulteriore impoverimento del Sud, servizi peggiori in qualità e qualità, a maggiori costi, e con tassazione più pesante, per i cittadini del Sud. Il federalismo fiscale come occasione di un divario crescente e alla fine insuperabile. In tal caso, i diritti fondamentali e di cittadinanza sono scritti sull´acqua, l´eguaglianza è un miraggio, l´unità e indivisibilità della Repubblica è una menzogna.
Per questo, dal Sud deve venire la domanda che al federalismo fiscale si aggiungano politiche nazionali di investimento a fini di riequilibrio: infrastrutture, sicurezza, giustizia, ricerca, università. Non basta guardare in direzioni nuove - come ad esempio si fa nel libro a più voci “Mediterraneo 2010. Sfida per il Mezzogiorno”, di matrice Confindustria. Lo scenario è interessante e utile, ma a una condizione ben precisa. Che ci sia una politica consapevolmente diretta a favorire una pole position del Mezzogiorno nell´area mediterranea. Diversamente, come alcuni contributi al libro sottolineano, dall´accrescersi di cooperazione e scambi trarranno beneficio soprattutto le imprese del Nord. Già in buona parte accade. Una scelta politica di fondo rimane necessaria.
E veniamo al punto finale. Chi deve formulare e chiedere le misure da legare al federalismo fiscale? Ovviamente, la politica e le istituzioni meridionali. Qui troviamo il punto debole, e in prospettiva cruciale. Perché proprio gli esempi infiniti di malapolitica e malamministrazione hanno favorito la micidiale equazione Mezzogiorno = spreco = criminalità in cui l´egoismo territoriale ha trovato una copertura certo strumentale, ma efficace. Se chi parlerà per il Mezzogiorno domani è stato ieri, o è protagonista oggi, della malapolitica e della malamministrazione, nessuno ascolterà. Quindi, rinnovamento della dirigenza politica e istituzionale, riforma degli apparati pubblici, recupero di best practices e di etica pubblica sono condizioni necessarie per evitare che con il federalismo fiscale il Mezzogiorno rischi il disastro. Diversamente - come scrive Ernesto Paolozzi su queste pagine - ci rimane solo l´utopia.

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